Come dibattuto da diversi anni, per contenere gli sprechi di cibo occorre andare al di là delle scadenze indicate nelle etichette. La dicitura "da consumarsi preferibilmente entro" è - in altri termini - fuorviante, perché un prodotto alimentare potrebbe essere “buono” ben al di là di tale indicazione, con il risultato di far cestinare dei cibi che, in realtà, sono ancora in grado di svolgere la propria funzione.
A rendere il tutto più complicato, peraltro, non è solamente il fatto che l’indicazione della data di scadenza sia pianificata fin dall’origine sulla base di alcuni parametri spesso troppo rigidi, quanto anche l’evidenza che non tiene certamente conto delle condizioni di conservazione e di trasporto, finendo con il non essere necessariamente correlata alla qualità e al valore dell'alimento al momento dell'uso.
Insomma, le condizioni della maggior parte dei prodotti alimentari che viaggiano lungo le catene di approvvigionamento sono sconosciute perché non esiste un monitoraggio della qualità, a parte forse un'ispezione visiva al negozio di alimentari. In altri termini, non si sa cosa sia successo al prodotto dal momento in cui esce dal magazzino del produttore al momento in cui arriva al supermercato o sulla tavola.
Qualcosa potrebbe però cambiare nell’immediato futuro: sono infatti già stati sviluppati e commercializzati diversi approcci che utilizzano inchiostri, sensori di pH, idrogel e altre tecnologie per rilevare le condizioni qualitative di un prodotto. In particolare, sono proprio i sensori a costituire una delle più promettenti applicazioni in questa direzione. Ma come funzionano?